Il servizio animalista del TG2 sulla presunta vivisezione dei macachi
Al TG2 del 18 dicembre nell’edizione delle 20:30 viene rilanciata la questione delle proteste animaliste guidate dalla Lav (Lega antivivisezione). Il servizio chiama in causa la “vivisezione” in relazione agli esperimenti sui macachi nell’ambito del progetto LightUp, descritto in maniera sbrigativa, senza tener conto delle sue finalità e del percorso di valutazione e autorizzazione delle sperimentazioni.
Il progetto LightUp ha lo scopo di studiare una forma di cecità dovuta a particolari lesioni della corteccia cerebrale. Proprio a seguito della disinformazione sul loro operato i ricercatori sono stati oggetto di diverse minacce, due di loro oggi vivono sotto scorta.
Durante il servizio vengono riportate acriticamente le affermazioni della Lav. Per giustificare l’assenza di un contraddittorio si sostiene che il direttore del progetto Marco Tamietto avrebbe rifiutato di essere intervistato.
Il messaggio che potrebbe passare al pubblico è quindi che ci sia stata una chiusura da parte dei ricercatori dell’Università di Torino, la quale avrebbe anche rifiutato di ospitare una troupe televisiva per riprendere le condizioni degli animali.
Questa versione però non è corretta, ed è solo una delle tante imprecisioni di cui è disseminato il servizio del TG2. Esaminiamole in dettaglio.
«Vivisezione» e «immense sofferenze»
Il termine vivisezione compare ripetutamente nel servizio e nel suo lancio, ma la normativa europea e la legge italiana sulla «protezione degli animali usati a fini scientifici» non la prevede come procedura autorizzata nei progetti scientifici (Direttiva europea 2010/63; D.LGS 2014/26). Insomma è già vietata.
Una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che il termine «vivisezione» è diffamatorio ed eccedente il diritto di critica, quando riportato ripetutamente in associazione ad altri concetti chiaramente negativi.
Quanto alle «immense sofferenze», la legge che regola la sperimentazione animale in Italia stabilisce che «non sono autorizzabili procedure sugli animali che comportano dolori, sofferenze o distress intensi che possono protrarsi e non possono essere alleviati» (art. 15 Dlgs 2014/26).
Affermare il contrario contraddice il processo di legittimazione e valutazione già operata dagli organismi europei e del ministero della Salute.
Una sperimentazione che «non serve a niente»
Il servizio riporta scopi e obiettivi del progetto LightUp solo in questa frase:
«Le università di Torino e Parma li vivisezionano per cercare una cura al blindsight, una forma di cecità estremamente rara che deriva prevalentemente da traumi».
Studi recenti dimostrano che queste competenze visive residue sono presenti nel 70% circa di pazienti con lesione alla corteccia visiva (Ajina et al., 2015 E-life). Non è vero che il blindsight sia dovuto prevalentemente a traumi, ma è ampiamente documentato anche per danni vascolari, tumorali o chirurgici. Tutte informazioni pubbliche e ignorate nel servizio.
Durante il servizio si riporta un pezzo dell’intervista a Candida Nastrucci della European society for alternative to animal testing, la quale parla dei «danni permanenti» che subirebbero i macachi a seguito delle sperimentazioni sulla loro corteccia, fino ad affermare che LightUp «non serve a niente».
Chi lo decide? Il Metodo scientifico si basa su esperimenti in grado di confermare o smentire le ipotesi, generando così nuove conoscenze e – da queste – nuove cure. Anche un eventuale esito negativo non sarebbe inutile, perché consentirebbe di scartare alcune ipotesi oggi plausibili, per orientare domani nuovi studi in direzioni alternative.
Le presunte irregolarità degli esperimenti
Il servizio riporta che «per gli animalisti gli esperimenti sono irregolari». Dimentica però di dire che il Tar ha recentemente rigettato l’istanza della Lav che sosteneva presunte irregolarità, ribadendo anzi la mancanza di alcuna «prova o un principio di prova» a sostegno delle loro tesi, riconoscendo «le cautele disposte … per limitare le sofferenze degli animali utilizzati nel progetto e del numero esiguo degli stessi» (N. 11774/2019 REG.RIC).
Nastrucci parla di dettagli tecnici – per esempio, 12 viti – che, se veri, possono essere conosciuti solo da chi ha letto l’intero protocollo. Tuttavia, tra le molte associazioni animaliste, solo Lav ha ottenuto il protocollo di ricerca, attraverso una richiesta di accesso agli atti al ministero della Salute, col vincolo legale di non poterlo divulgare, e di dover utilizzare le informazioni «al solo fine della tutela dei propri interessi giuridici».
Questo perché i progetti di ricerca contengono profili di proprietà intellettuali che la legge tutela, e sono a tutti gli effetti «atti giudiziari». Il giudizio tecnico su una sperimentazione non può che basarsi su una conoscenza dettagliata degli stessi aspetti tecnici che si criticano, e sulla competenza comprovata di chi li esprime.
«False balance» e autorevolezza scientifica
Il “falso bilanciamento” è la maggiore causa di disinformazione. I fatti vengono degradati a opinioni. Un argomento viene presentato strumentalmente come la contrapposizione di tesi poste sullo stesso piano, anche se una delle due è palesemente infondata. Alcuni esempi in ambito scientifico sono il dibattito sulla relazione tra vaccini e autismo, sull’efficacia dei trattamenti omeopatici o sul negazionismo dei cambiamenti climatici.
È interessante leggere su un post pubblicato su Facebook il 16 maggio 2013, che Nastrucci riteneva Davide Vannoni, l’autore del metodo Stamina «un eroe dei nostri tempi» (la condivisione – che oggi risulta rimossa – è stata ripresa anche in un articolo del divulgatore scientifico Marco Delli Zotti su StradeOnline), a cui la Storia avrebbe reso giustizia.
«Rimango di sasso nei mesi successivi quando vedo Candida Nastrucci – spiega il divulgatore – sostenere questo metodo e la figura di Vannoni parlandone addirittura come “un eroe dei nostri tempi”».
In un altro post del 25 ottobre 2015 sulla presunta malafede nell’ambito della salute – associato ai vaccini – Nastrucci scrisse di «crimine a livello umanitario» (copia cache).
Il presunto rifiuto di Tamietto e degli atenei del progetto LightUp
L’autore del servizio sostiene che sarebbe stata «chiesta un’intervista con il direttore del progetto, il professor Marco Tamietto, ma non ci è stata concessa».
I ricercatori interpellati riportano e documentano con riscontri mail, che l’intervista era stata inizialmente richiesta al responsabile degli esperimenti presso l’Università di Parma, Luca Bonini, il quale si era reso disponibile da subito, pur suggerendo di rivolgersi anche a Tamietto in merito agli aspetti scientifici del progetto.
Nessuna volontà da parte dell’Università di sottrarsi, dunque, come per altro si può constatare in base ai comunicati rilasciati dagli Atenei e le dichiarazioni dei ricercatori pubblicate negli scorsi mesi, attraverso articoli sulla stampa e interviste televisive e radiofoniche.
Eppure nel servizio si procede affermando «tantomeno siamo stati autorizzati a filmare oggi i macachi nelle gabbie dell’Università di Parma». Ma l’Università di Parma aveva acconsentito anche a questa ulteriore richiesta, e si stavano definendo tempi e modalità per concedere l’accesso.
Comprensibilmente, un centro di ricerca in neurofisiologia su primati tra i più importanti e noti d’Europa, non può organizzare la visita di una troupe televisiva in tempi brevissimi, né tantomeno “in giornata”.
Per altro, a riprova della trasparenza e disponibilità dell’Ateneo, era già stato concesso di recente a un’altra troupe – proprio della Rai – di poter visitare e filmare laboratori, stabulari e animali, oltre a intervistare i ricercatori del progetto Lightup presso l’Università di Parma (TG Leonardo del 1° ottobre 2019). Tutti i filmati mostrati nel corso del servizio sono proprio quelli andati in onda nel servizio di TG Leonardo.
Un precedente del giugno scorso
Ricordiamo che il TG2 aveva già mandato in onda nell’edizione delle 13:00 del 5 giugno scorso, un servizio sul progetto Lightup introdotto dallo stesso autore, coi medesimi toni e contenuti, presentando il solo punto di vista della Lav. Si parlava già di «immense sofferenze», senza fornire alcun elemento per comprendere finalità e contesto scientifico.
I ricercatori e le Università coinvolte non vennero interpellate affatto. Inoltre, nelle settimane precedenti una associazione animalista romana aveva organizzato presidi sotto la sede Rai di Roma, chiedendo di parlare del progetto secondo la loro prospettiva.
L’appello venne reso pubblico su Facebook dalla stessa associazione romana, con commenti piuttosto emblematici della violenza verbale – ispirata anche dalla disinformazione – nei confronti degli scienziati coinvolti nel progetto LightUp.
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